Come perdonare?

“Non tramonti il sole sopra la vostra ira” Ef. 4,26
 
Teodora Campostrini sceglie come Regola fondamentale per il suo Istituto la Regola di S. Agostino, che, nel capitolo dedicato alla comunione fraterna, dà indicazioni specifiche proprio sul “perdono”. Il Santo raccomanda innanzitutto di non avere liti, ma, qualora dovesse succedere, esorta ad entrare subito in se stesse e di “riparare al più presto” il proprio gesto. La sorella offesa, poi, deve aver cura di perdonare senza tante discussioni. Nel caso – continua ancora la Regola – ci fosse offesa reciproca, “reciprocamente perdonatevi, grazie alla vostra preghiera, che, essendo frequente, deve essere più autentica”. È chiaro qui il riferimento evangelico che chiede di presentare la propria offerta all’altare dolo dopo l’avvenuta riconciliazione.
Viene anche spontanea una riflessione riguardo all’affermazione: la preghiera “più frequente” deve essere “più autentica”. Spesso, infatti, si sente dire il contrario: la preghiera frequente genera abitudine, mentre, se si prega raramente o comunque non con frequenza, quella preghiera è più sentita, più genuina.
Gesù dice in modo esplicito di pregare sempre e certamente non per creare una abitudine meccanica, ma per stabilire una costante relazione con Dio, per imparare a vivere alla sua presenza ad essere presenti a se stesse.
Se non si volesse dare o accettare il perdono, si manterrebbero nell’animo sentimenti di ira o di rancore, che non si conciliano col permanere nella sua accennata unione con Dio.
Anche Madre Teodora nel suo commento alla Regola dice espressamente: “nessuna sorella della Comunità conservi qualche durezza di cuore”, perché ci sarebbe un ostacolo alla preghiera.
Facciamo, dunque, in modo, insiste Teodora Campostrini, di non assumere mai comportamenti offensivi o comunque non degni di chi dichiara di essere alla sequela di Cristo. Tuttavia, continua la Fondatrice, noi siamo deboli, fragili e possiamo sbagliare, abbiamo come una specie di infermità interiore e quindi possiamo “proferire” parole che feriscono, oppure siamo capaci di rendere insensibile il nostro cuore e di non concedere il perdono a chi ci ha offeso.
Allora, la riflessione su se stesse aiuta non solo ad essere vigilanti, ma anche se dovessimo offendere qualcuna, a riparare la ferita con grande sincerità e umiltà, perché “la bocca che ha ferito non può far cosa migliore che recare alla ferita il suo rimedio”.
Noi siamo responsabili delle nostre parole e delle loro conseguenze. Con le parole si può ferire e con le parole si può guarire.
Madre Teodora offre un altro importante suggerimento, ossia di “metterci interiormente in ginocchio”, che vuol dire visitare umilmente il nostro cuore per trovare la forza e la coerenza di superare ogni residuo di rancore e, una volta “purificate” dalla ruggine depositata da risentimenti o irritazioni, restare nella pace e nell’aperta accoglienza.
Il lavoro più difficile è partire da se stessi e percorrere decisamente l’itinerario evangelico fino a sentirci del tutto rese pure e libere. Altrimenti, afferma Teodora, si rimane “senza frutto” nella “casa di Dio”, smarrite nelle emozioni di rancore, insoddisfatte di tutto, per l’inquietudine e il peso delle nostre incoerenze. Coltivare il cuore buono che sa amare sempre e comunque è la “ricetta” per non vedere “mai tramontare il sole sopra la nostra ira”.
Sr. M. Fernanda Verzè

Istituto Campostrini

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