Il lavoro va preso in considerazione prima di tutto come bisogno primario, ossia, come mezzo per mantenere la vita. Questo rimane fondamentale, ma il lavoro ha bisogno di aprirsi ad altri significati, altrimenti rischia di essere vissuto come un’imposizione, una costrizione, una limitazione con effetti negativi nel contesto esistenziale.
Ecco perché è importante capire e vivere il lavoro anche come bisogno secondario. Questa comprensione del lavoro, pur mantenendosi fortemente aderente alla realtà sia interna, sia esterna, non è statica, ma si muove nel tempo, stabilisce una relazione e permette l’espressione e il rispetto di sé.
In altre parole, il lavoro ci eleva, perché è visto e vissuto come dimensione di conoscenza di sé e possibilità di farsi conoscere agli altri; come crescita, come apprendimento costante, come spazio interiore di possibilità.
Il lavoro, quindi, diventa un confronto costante con la nostra persona, ci dice i sentimenti e le emozioni che proviamo, rimanda a noi la conoscenza di noi stessi, mentre ci occupiamo delle attività e dei compiti chi ci competono. E’ un riscontro che ci permette di vedere ciò che va e ciò che non va dentro di noi.
La difficoltà di riflessione, la fretta, la disabitudine a chiederci come mai agiamo in un modo anziché in un altro, significa molto spesso poca responsabilità nei confronti della conoscenza di noi stessi e della corretta relazione con gli altri.
Il lavoro è anche un tempo per costruire relazioni positive. Se è vissuto nella direzione della relazione, vuol dire che lo stare insieme non sarà il risultato di una quantità: 1+1+1..., ma sarà la conseguenza di uno stile di lavoro qualitativamente elevato, che conduce a sentirsi un insieme, effetto che va ben al di là del primo livello.
Non è sempre facile costruire un’idea positiva del lavoro, ma è possibile. Occorre riflettere e voler capire che il lavoro è legato a tanti elementi vantaggiosi: movimento, benessere, apprendimento, conoscenza di sé, delle proprie emozioni, conoscenza degli altri, relazioni...
Lavoro è anche fatica, per questo nascono le difficoltà tra chi non vuole lavorare o lavora troppo poco e chi, invece, si impegna e lavora seriamente e sempre.
Tener presente che il lavoro è ri-produzione, forse per qualcuno potrebbe essere più stimolante. Di fatto, quando lavoriamo, in qualche modo, è come ri-facessimo, se ri-producessimo quella cosa che è dentro la nostra azione.
Questo è riscontrabile anche nelle piccole azioni giornaliere. Se si lava una pentola, in qualche modo è come se si riproducesse quella pentola. Ecco perché ci deve essere una proporzione tra l’usare le cose e il riprodurle, nel seno appena spiegato. Se in famiglia o in una Comunità in cui, ovviamente, ci sono più persone che usano le cose e solo una persona le ri-produce, evidentemente il dislivello è tale da creare disarmonie e conflitti. Più sono le persone e più si deve riprodurre, altrimenti la situazione diventa anormale e nessuno sta bene nell’anormalità.
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