Non rendere insipido il sale della fede

Ogni tanto mi ritorna alla mente una frase che ho letto tempo fa di cui non ricordo l’autore. Suona più o meno così: “La fede è il marchio degli imbecilli”.
Sono rimasta impressionata e ho cercato di capire il perché di questa affermazione. Forse chi l’ha scritta ha avuto esperienze negative con chi avrebbe dovuto rendere visibile una fede intelligente, comprensibile, operativa e produttrice di gesti di bontà, di sincerità, di altruismo. Forse chi l’ha scritta è arrabbiato con il mondo intero per problemi suoi. Comunque, è sempre possibile trarre insegnamenti anche da espressioni poco piacevoli per chi ritiene di avere fede.
Anche Papa Francesco, nel suo parlare profondo, simpatico, veritiero spesso esprime con frasi colorate concetti evangelici essenziali. Ecco una sua frase che tratteggia in modo efficace una certa fisionomia del cristiano: “Non siate cristiani da museo che rendono insipido ‘il sale della fede’.”
Essere cristiani da museo significa essere piuttosto ottusi, perché la fede che professiamo è resa inutile dall’incapacità di trasformarla.
La fede viene paragonata giustamente al “sale”: entrambi questi elementi hanno la caratteristica di insaporire, di far gustare il sapore del cibo, per il sale, e della vita per quanto riguarda la fede.
Entrambi gli elementi, sale e fede, sembrano dileguarsi nella concretezza quotidiana, invece essi, mescolandosi con altri elementi, ma non disperdendosi, aumentano il gusto della vita, della realtà umana spesso duramente provata da difficoltà, ostacoli e sofferenze.
Come il sale, la fede, quindi, insaporisce e migliora l’esistenza quotidiana e si può riconoscere e costatare la funzione pratica, da come le persone vivono, dai significati di vita che cercano, dalle scelte che fanno, dalle azioni che compiono.
“Che giova, scrive s. Giacomo, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere è morta in se stessa. Qualcuno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere, ti mostrerò la mia fede.
Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!
Ma vuoi sapere, o insensato, che la fede senza le opere è senza valore?”
A quanto pare, avere fede senza corrispondervi con le opere, produce pericolosità: anche i demoni credono, ma non sanno amare, non soccorrono chi è nel bisogno, sono incapaci di relazione con gli altri cercando di fare loro del bene. Così è chi crede di avere la “verità” dalla sua parte, chi confonde la fede con le sue categorie mentali, come donna Prassede, personaggio de “I promessi sposi” di A. Manzoni, che si propone come unica donna che conosce ciò che è il bene e ciò che gli altri devono fare, ma, dice il Manzoni, faceva spesso un grosso sbaglio, che era di scambiare il suo cervello per il cielo.
Un po’ di donna Prassede abita anche in noi quando riteniamo di essere molto credenti, mentre separiamo le parole dalle opere che sono le uniche che dimostrano la nostra fede in Dio.
La fede senza le opere produce cristiani fondamentalisti, quindi intolleranti, fanatici, faziosi e aggressivi.
Credere in Dio e sperimentare la sua presenza nella nostra vita significa comunicare a tutti, con la vita stessa, questa esperienza e, nelle difficoltà incomprensioni o ostilità, rifarsi al comportamento di Gesù, che ha riposto con l’amore e la forza della verità che era. Comunque, amore.
Sempre Papa Francesco ricorda che san Francesco d’Assisi mandava i suoi frati ad evangelizzare raccomandando loro di predicare il Vangelo con la vita e, solo se fosse stato necessario, anche con le parole.
 

Istituto Campostrini

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