La prima emozione che priviamo di fronte a tutto ciò che si presenta come “altro” è spesso la paura e dalla paura nascono la tensione, il sospetto, l’ostilità, il rifiuto.
L’altro è lo straniero, il forestiero, l’estraneo. In una parola, è qualcuno, o qualcosa, che si presenta come nuovo o diverso, che entra nei nostri territori esteriori o interiori, che chiede spazio e considerazione, che si impone discretamente o violentemente e che, quindi, crea scompiglio, rompe gli schemi, le abitudini, le consuetudini avvertiti come il privato personale.
In tempi remoti l’ospitalità era considerata sacra. L’ospite, qualunque esso fosse, veniva accolto in casa e lo stesso capofamiglia si inchinava per lavagli i piedi e per curargli le piaghe provocate dal lungo pellegrinare. Gli offriva ciò che di meglio aveva, lo riforniva di cibo e di bevande per il proseguimento del viaggio e, talvolta, anche di doni preziosi. L’ospite era riconoscente e invocava su quella famiglia le benedizioni di Dio. Così narra la Scrittura sacra, nella quale vengono riportati molti esempi di generosa ospitalità. Basti pensare ad Abramo che accoglie i tre pellegrini che ha visto passare davanti alla sua tenda, vicino alla quercia di Mamre. Basti pensare a Gesù che fa notare a Simone, presso il quale era commensale, la mancanza di ospitalità. Egli, infatti, non gli aveva lavati i piedi, come era di consuetudine, mentre la donna, considerata da tutti “la peccatrice”, non cessava di lavargli con le sue lacrime e di asciugarglieli con i suoi capelli.
Gli attuali quadri generali del sociale sono molto cambiati rispetto a tempi lontani.
Oggi siamo alle prese con forti migrazioni, spostamenti di numerosi gruppi di persone in genere provenienti dal sud o dall’est, molto spesso disperati o illusi di trovare, oltre le proprie terre d’origine, benessere e ricchezza, ricercati con mille espedienti.
È difficile, perciò, nel nostro tempo gestire l’ospitalità, difficile avere fiducia dello straniero, perché si dice che invade lo spazio, che impone la sua presenza e che troppo spesso usa violenza e sottrae ciò che con tanta fatica uno si è conquistato. Non vi è dubbio che viviamo un periodo storico in cui la diffidenza, l’apprensione e il sospetto sono aumentati nelle relazioni sociali e il pensiero dominante, implicito o esplicito, è quello di non fidarsi di nessuno. L’ospitalità in questo clima di timore, tende a trasformarsi, quindi, in ostilità verso il forestiero, ossia, verso colui che viene da fuori, perché non lo si conosce e non è dei “nostri”, così talvolta è accusato e ritenuto colpevole anche di ciò che non ha commesso o addirittura è strumentalizzato per perseguire obiettivi iniqui.
Certo, non è pensabile di superare problemi così gravemente disarmonici in poco tempo e in modo indolore. Il retorico ottimismo nei confronti delle differenze è messo fortemente alla prova in quanto si tratta di vivere una realtà che coinvolge la propria identità nazionale e i propri stili di vita.
Il problema non è di facile soluzione, ma risolverlo sarà senz’altro impossibile, se non ci si accorda in un serio impegno di “costruire cultura”. Il livello culturale, infatti, permette di ripensare e di trovare gli elementi fondamentali della convivenza umana e, pur nelle diversità del credo religioso, di usi e di costumi, di formare un tipo di pensiero e di comportamento che esprima valori condivisi e accoglienza reciproca.
L’esperienza conferma quanto sia impegnativo il confronto; facilmente ci si irrigidisce sulle proprie posizioni e si ritiene che la ragione stia dalla propria parte, ma non è per questa strada che si apre all’ospitalità. Se tutti pensano di avere dalla loro parte la verità e ritengono gli altri nel torto, nessuno si muoverà o, se avverrà un movimento, sarà soltanto fittizio.
Sincera ospitalità non vuol dire essere acritici, confusionari, accettare tutto e comunque. Anzi, impegna a formarsi e a prepararsi sul piano culturale per essere in grado di sostenere una conversazione rispettosa, costruttiva, capace di reciproco arricchimento e soddisfazione. Riguardo all’aspetto religioso, per esempio, il dialogo diventa un’occasione di approfondire il proprio credo e una verifica della propria identità, atteggiamento che ci dispone verso gli altri e che rende flessibili ad apprendere su i tanti e interessanti temi comuni, che invitano alla riflessione e che accompagnano anche il cammino spirituale delle diverse religioni presenti nel mondo. Da qualsiasi parte provenga “il bene”, va analizzato, valutato e tenuto nel proprio intimo, nella convinzione che sarà questa comprensione a fare da base al procedere sereno nell’incontro dell’altro.
È possibile affermare, dunque, che l’ospitalità va realizzata prima di tutto dentro di sé, attraverso considerazioni che sappiano ponderare tutte le cose in modo da essere forniti di contenuti consistenti e, allo stesso tempo, di una mente aperta a grandi orizzonti e che non teme la diversità. La piena consapevolezza che da tutto è possibile trarre insegnamenti utili alla gestione di una continua ricerca di significati, validi per la propria vita personale e per l’assimilazione di valori comuni, amplia la disponibilità al confronto come strumento idoneo alla crescita. Perciò è fondamentale mantenere una attenzione costante su di sé e procedere ad un continuo miglioramento, producendo pensieri positivi, compiendo azioni vantaggiose e definendo spazi culturali in cui è possibile incontrare e ospitare chiunque.
Nulla si costruisce da soli, nulla si dà da sé. Il rapporto con l’altro, la relazione con il diverso non solo possono avvenire, ma devono accadere in un’area comune a cui tutti gli umani possano accedere.
Questa ospitalità è produttiva in quanto parte da una certezza: ritenere assolutamente che i “semi del Verbo” sono sparsi ovunque e che tutti siamo discepoli di quella Verità che può essere chiamata con vari nomi, ma che nessuno ha ancora raggiunto completamente.