Il nostro essere peccatori

Quando consideriamo i nostri peccati, che fondamentalmente riguardano la mancanza di amore e di fiducia verso Dio e verso il prossimo, ci sentiamo come frantumati; vediamo rompere sotto i nostri occhi la nostra unità interiore che tanto desideriamo possedere per il nostro benessere interiore.
Quando egoismi, distrazioni, agitazioni inutili, pigrizie sterili, sentimenti di irritazione, di invidia, in una parola i nostri peccati devastano la nostra interiorità, che vorremmo sempre avere compatta e chiara, diretta verso una visione ben precisa, consapevole, consolidata da una stabile relazione di amore con Dio e da una capacità intelligente che cerca solo il bene di chi è con noi e lontano da noi, un senso di turbamento invade la nostra anima.
Sì, tante volte negli anni della nostra vita, abbiamo preferito che emerga il nostro “io”, siamo stati negligenti, arroganti e prepotenti, ci siamo persi in sogni banali, vani e fallaci, anziché occupare il nostro tempo e le nostre energie per riflettere, meditare, amare il nostro Dio verso il quale fin da giovani ci sentivamo attratti, come ci sentivamo attratti da una vita significativa, una vita sotto lo sguardo di Dio, in cammino con Lui e con atteggiamenti buoni e sensibili verso gli altri.
E, invece, quanti pensieri e sentimenti di irritazione verso persone che non sopportavamo e che non sopportiamo! Questi e tanti altri simili peccati ci fanno percepire una divisione interna. Ci fanno sentire alienati da noi stessi e dobbiamo, con pazienza “cercarci” e “ricercarci” per ricostruire quella unità interiore che tanto desideriamo. Sono i momenti più tristi in cui dobbiamo chiedere a noi stessi: “Dove sei?” Proprio come Dio ha fatto con Adamo dopo il peccato: “Dove sei, Adamo?” “Ho avuto paura e mi sono nascosto”. Paura di chi? non era sempre stato in compagnia con Dio, con Eva e con creato in modo tranquillo? La relazione che costituiva una fondamentale unità interiore e che permetteva una esistenza serena e fiduciosa si era infranta e Adamo si è trovato “sgretolato” incapace di recuperare se stesso, la sua unità. Non era più come prima, non era più se stesso e la paura di mostrarsi in una “nuda” forma gli faceva paura. Per recuperare la sua identità doveva trovare se stesso, la sua unità, quell’ “Adamo” di prima. Ecco che cosa è il peccato: è rottura della propria unità interiore dove Dio, l’altro, ogni realtà erano presenti in modo armonico, tranquillo e in sintonia con la propria vita. Il peccato non è solo la somma dei singoli peccati di ciascuno, è qualcosa di più: è una spaccatura profonda con se stessi, con Dio, con il prossimo e con tutto il creato. Una spaccatura con se stessi che ha come conseguenza la paura di Dio perché ci si sente davanti a Lui nudi, divisi, confusi. La paura anche di se stessi, perché non ci si riconosce più, la paura dell’altro perché diventato pericoloso. Su ogni persona, dunque, pesano i peccati personali, ma più ancora il PECCATO del mondo, il PECCATO dell’umanità fin dalle sue origini. Il peccato dell’umanità che è anche il peccato di ciascuno, dato che tutti apparteniamo ad essa. Il peccato frantuma il nostro essere unitario di persona, frantuma l’armonia con il Creatore e con tutto il creato. E niente fa tanto star male come sentirsi frantumati. Per questo l’impegno di ciascuno è di costruire in sè una grande unità armonica, inglobando anche il Peccato, dato che non è più possibile vivere senza fare i conti con la rottura originale. Per inglobare anche il peccato nell’unità di vita è necessario trasformare lo stesso peccato in elemento di risorsa, di possibilità per la costruzione di una visione unitaria della propria vita.
Questa visione è frutto di continua riflessione.
Nella Liturgia della notte di Pasqua la Chiesa canta “Colpa felice di Adamo”, perché ci ha meritato il Salvatore Gesù. Questa affermazione impressiona, è sconvolgente. Merita una continua riflessione. Diciamo “colpa”, non “colpe”, eppure anche Eva aveva commesso la colpa, quindi erano almeno due le colpe, ma la Chiesa canta “Felice Colpa”. All’origine dell’umanità c’è una colpa che non è solo dei nostri progenitori, altrimenti sarebbero state “colpe” personali. Tutta l’umanità è coinvolta in quella “colpa”, come tutta l’umanità è coinvolta nel bene e nel male che c’è nel mondo. Noi non siamo “monadi”, ma siamo una unità, un insieme, un unico corpo. Adamo, infatti, vuol dire “Uomo” non nel senso singolo di persona, ma nel senso di “Umanità”. Adamo sono “io”, è ciascuno di noi. Tutti facciamo parte dell’umanità e quindi anche di tutto il bene e di tutto il male del mondo. Facciamo parte della “prima colpa” e di tutta la “colpa”, del “peccato” dell’umanità.
Sentiamo questo peccato sulle nostre spalle, nel nostro cuore. E’ giusto, dunque, chiedere perdono a Dio per il peccato del mondo, perché è anche il “mio” peccato; è pure giusto ringraziarlo perché ci ha mandato il suo Figlio e ringraziare il Figlio per aver accettato, sostenuto dal suo Spirito, di portare sulle sue spalle e nel suo cuore il PECCATO dell’umanità e di averci amato fino al punto di “farsi peccato” per togliere il nostro peccato.
Sentire proprio tutto il peccato del mondo significa anche sentire forte l’abbraccio di Gesù che, dopo aver portato sulle sue spalle innocenti il peccato del mondo, dopo essersi “fatto peccato” per noi si è presentato al Padre per intercedere il Perdono per l’umanità e quindi anche per ciascuno di noi in particolare. Per questo la persona che riflette su questa realtà più che misericordiosa non può che sentirsi sempre peccatore/peccatrice, bisognosa del perdono di Dio, della sua compassione, della sua pietà. Allo stesso tempo vicina a Gesù, nel suo abbraccio, nel suo perdono e abbracciata pure dal Padre che tanto ci attendeva. In questo infinito amore del Padre e del Figlio con il suo Santo Spirito, la creatura umana ritrova se stessa e la sua unità interiore, ritrova l’armonia perduta con il Cielo e con tutto l’universo. Ecco perché, rabbrividendo, possiamo cantare: “Felice colpa”, dalla quale Dio non si è lasciato abbattere, ma attraverso la quale ha ricuperato il primo amore verso l’umanità e lo ha manifestato con un amore incommensurabile, mandando a noi il Figlio suo prediletto. E’ possibile, quindi, essere abbracciati dal Padre perché Gesù ci ha portati a Lui, dopo averci trovato lacerati nella nostra vergogna. Con Lui e per Lui possiamo ancora, anche con il nostro PECCATO, alzare i nostri occhi, a volte pieni di lacrime, ma sempre pieni di immensa gratitudine e di affidamento e incontrare il suo sguardo di accoglienza amorosa che abbraccia tutta la nostra vita passata, presente e futura.
 

sr. M. Fernanda Verzè

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