Verso la costruzione di uno stile etico di convivenza

L’umana convivenza presenta certamente asperità, perché risulta difficile la comprensione dei molteplici punti di vista, sulla cui base ogni persona riconosce la realtà è con essa interagisce. Ascoltare noi stessi e gli altri ed andare oltre il semplice sentire, comprendere gli atteggiamenti di fondo, dove si conservano sentimenti, più o meno consapevoli, possibilità e capacità non sempre note, risulta faticoso.
Indubbiamente vivere in isolamento non è possibile, oppure può essere molto pericoloso, in quanto la persona umana è costituita da una natura relazionale, proviene da una esigenza primaria di relazione e si realizza attraverso la relazione, nel proprio dispiegarsi evolutivo. È nella relazione con gli altri, infatti, che l’individuo conosce e realizza se stesso, attraverso la sperimentazione delle proprie emozioni, sentimenti, pensieri ed azioni. Nell interazione con l’altro diamo vita alla possibilità di comprendere noi stessi e di analizzare i nostri e gli altrui atteggiamenti.Scopriamo, così, la possibilità di comprendere dalle nostre osservazioni che le difficoltà del vivere dipendono, in larga parte, dalla assenza di interiorizzazione e dal mancato sviluppo del senso etico della convivenza.Ogni azione, anche la più piccola, se realizzata attraverso un comportamento responsabile, che abbia come obiettivo il miglioramento personale e collettivo, diventa un passo importante per la costruzione di un etica di convivenza, in cui è possibile vivere con correttezza, onestà, lealtà, tenendo in rilevante considerazione la presenza dell'altro.Sono tanti gli atteggiamenti che favoriscono la crescita della nostra interiorità. Ecco perché è necessario imparare ad analizzare il proprio comportamento in ogni azione e tenere monitorati i sentimenti che spingono ad agire in  un modo anziché in un altro, per modificare eventualmente, lungo il percorso, le linee comportamentali  che si vanno assumendo.Spesso nel nostro quotidiano capita di compiere azioni che non costruiscono, né in noi né al di fuori di noi, cambiamento positivo, anzi sono azioni che interrompono la relazione o tendono a chiuderla, anche se a noi, con tutta onestà, sembrerebbe di poter affermare che le intenzioni sono ottime e le motivazioni buone o responsabili.Un esercizio interessante può essere quello di diventare consapevoli del fatto che esiste una distinzione tra la nostra persona e le azioni, tra la nostra persona e le motivazioni, le finalità e gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere. Non sempre le motivazioni, le finalità e gli obiettivi delle nostre azioni sono da noi conosciuti in tutti i loro aspetti, anzi, spesso i movimenti più profondi sono completamente inconsapevoli e, quindi, ignoti alla nostra ragione. In questi casi le azioni non costruiscono un’etica finalizzata alla crescita interiore ed alla conoscenza di sé, dell’altro, della realtà e all’azione corretta e altruista. Le motivazioni e gli obiettivi inconsapevoli sono presenti abbastanza frequentemente nella azioni e nelle decisioni, per cui esse risultano appesantite da condizionamenti personali e, di fatto, possono prendere percorsi che non solo non appartengono ad una elevata espressione etica, ma che provocano peso, ingiustizia e sofferenza per gli altri, che c’entrano assai poco con i nostri condizionamenti personali.  È molto importante rendersi conto che ogni nostra azione contiene e veicola più livelli di significati. Porre la massima attenzione, osservare e riflettere sulle possibili diversità di questi significati vuol dire orientare le proprie azioni verso la costruzione positiva di un’etica della convivenza.Specificando meglio, si può affermare che, quando le persone sono nella condizione di agire con consapevolezza la distinzione tra se stesse, come entità individuali, e le azioni compiute, evidenziano sul piano relazionale, risultati enormemente diversi, in termini di positività ed efficacia comunicativa e di prodotto.Per questo, chi sa operare distinzioni è in grado sia di analizzare le proprie azioni, sia di accettare il risultato dell’analisi altrui, senza che sia percepito come un pericolo per se stessi, come un attacco, una svalutazione o una scarsa considerazione. Anzi, è in grado di comprendere che ogni informazione, da qualsiasi fonte provenga, offre possibilità di apprendimento, quindi, di ulteriore miglioramento. Di conseguenza, se qualcuno ci vorrà descrivere la percezione ricavata dalle nostre azioni o comportamenti, proponendo un confronto, saremo in grado di non porci in posizione di difesa, ma di argomentare e di assumere un atteggiamento di ascolto interessato, di ricerca, di analisi. Quando, invece, la nostra consapevolezza è scarsa, si fatica a distinguere se stessi dalle proprie azioni, perché si ignora che le azioni compiute possano contenere messaggi e significati ben diversi dalle nostre intenzioni, fatto che può essere rilevato dagli altri ed anche espresso in piena libertà. La mancanza di esperienza profonda della nostra struttura comunicativa determina scarsa consapevolezza, da cui deriva l’inevitabile timore e difesa ad oltranza di fronte alle descrizioni dei nostri comportamenti da parte degli altri. La scarsa capacità di distinzione tra la nostra persona e le azioni che essa stessa produce ha come risultato una condizione di disagio. Infatti, quando non viene costruita una valutazione dei nostri e altrui errori, come prodotti di conoscenze limitate, non è possibile considerare i propri errori come opportunità e risorsa preziosa di ampliamento di conoscenza, di approfondimento di noi stessi, degli altri, delle diverse realtà e di Dio stesso.Al contrario, spesso viviamo la descrizione e la valutazione altrui come dimensione moralistica o punitiva, atteggiamento che non porta con sé conoscenza positiva, bisogno di comprendere il come e quando gli elementi delle nostre azioni si modificano, ma finiamo con il dare una connotazione negativa di giudizio: questo è buono, quello è cattivo. Un tal modo di ragionare ci porta verso una unica conseguenza: la difesa. Quando si costata l’errore, ci si difende con aggressività perché ci collochiamo, così come gli altri ci avrebbero collocati nella categoria dei cattivi e nessuno può nutrire interesse ad essere catalogato in una lista così oltraggiosa.Nella ricerca di un’etica di convivenza, nella quale il primo movimento è quello di cercare il proprio miglioramenti e quello altrui, l’analisi dei comportamenti risulta un progetto prioritario, così come risulta enormemente importante l’obbiettivo di costruire per sé e per gli altri uno specifico modo di pensare, quando si è di fronte all’errore. Un pensare che è caratterizzato da una propensione a non chiudere la comunicazione con atteggiamenti, valutazioni o giudizi morali, che è costituito come un pensiero a “ventaglio”, un pensiero che si pone in condizione di ricerca per capire, ragionare, approfondire la conoscenza sui propri comportamenti o sul funzionamento di qualche aspetto nostro o altrui. Questa forma di pensiero e di comunicazione, costruisce forti sentimenti interiori, in cui nessuno può sentirsi condannato; in questo modo ogni elemento viene trasformato, riutilizzato come risorsa di vita.L’analisi dei propri comportamenti può, in un primo tempo, provocare una certa insicurezza, ma presto si diventa capaci di gestire le proprie emozioni, di passare a quel livello relazionale che ci consente di costruire, per noi e per gli altri, serenità, tranquillità, conoscenza, consapevolezza, coerenza tra gli ideali di vita e le azioni che vogliono realizzare.
 

Istituto Campostrini

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