Vigilare significa restare svegli, nel senso proprio di non dormire, di non addormentarsi nei momenti in cui è necessario essere desti, attenti, pronti e attivi. Si sa che, per rinnovare la mente e le forze, ogni essere vivente ha bisogno del riposo e del sonno ristoratore, ma qui si parla di quella vigilanza operosa e dinamica che produce consapevolezza e capacità di essere presenti a se stessi e alla realtà circostante, per giungere ad apprendimenti utili al miglioramento di sé e del proprio contesto di vita. Restare svegli, nel nostro caso, significa saper “entrare” nei fatti, negli avvenimenti, nelle relazioni e nelle azioni con un “occhio in più”, ossia con la capacità di capire, partendo dalla superficie delle quotidiane realtà piacevoli o sgradite, ciò che sta al di là, ciò che vi è dentro a tali realtà. Noi vediamo spesso solo quello che appare e facilmente ci fermiamo a questo livello, ritenendo esaurita la conoscenza di quanto si presenta alla nostra vista o al nostro sentire. Siamo capaci di capire che tutta l’acqua del mare non è soltanto quella che vediamo in superficie, ma che la quantità maggiore è quella che sta sotto, fino negli abissi più profondi.
Molto spesso, però, non sappiamo trasferire a noi stessi, alle nostre azioni, ai nostri pensieri, sentimenti ed emozioni questa fondamentale comprensione. Non la sappiamo applicare a quanto accade, alle relazioni che intratteniamo, agli avvenimenti sociali, religiosi, storici e culturali del tempo in cui viviamo, perché si preferisce trascorrere l’esistenza senza lo sforzo di comprendere ciò che sta al di là delle “cose” che avvengono.
Anche Gesù, nel suo insegnare alla gente che a Lui si avvicinava, parla di questo atteggiamento: “Quando vedete una nuvola salire a ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc. 12,54-59)
Se si vigila veramente, si è presenti a se stessi e a tutto ciò che avviene; si osserva, si analizza, si riflette e si agisce sulla base delle nuove conoscenze ricavate dallo stesso atto di vigilanza. In questo modo si possono interpretare i fatti con uno sguardo limpido capace di cogliere le cose al di là di ogni opacità e confusione.
Il tempo, allora, con i suoi movimenti e passaggi veloci non scorre accanto a noi, ma dentro di noi e noi attraversiamo ogni avvenimento che si presenta con saggezza e consapevolezza, mentre impariamo a migliorarci continuamente nel nostro percorso esistenziale, che ha il suo esito finale nell’infinito.
I motivi per restare svegli sono tanti, però non tutti e non sempre sono puri; ognuno di noi sceglie per se stesso la ragione per cui vigilare. Si può vigilare per progettazione malvagie, ma si può restare svegli per “curare” con diligenza se stessi, non in senso egoistico, anzi per un servizio più autentico verso la propria crescita interiore e verso quella degli altri, ossia per qualificare se stessi, in tutti gli aspetti del proprio essere e poter fornire all’altro, senza invasione o arroganza, la propria valida esperienza.
La persona umana è l’unico essere vivente in grado di “prendersi cura” di sé, nel senso pieno del termine.
Che si voglia o no, la nostra presenza nel mondo è, per natura, una presenza che muta; si tratta di diventare consapevoli di questa caratteristica e di scegliere come condurre la propria umanità ad elevati livelli di qualità
Il verbo “curare” indica movimento, passaggio da uno stato ad uno migliore, più sicuro e più tranquillo; non è sinonimo di “conservare”, che indica, invece, staticità, ossia, lasciare il proprio essere così come è. Tutto nell’universo è soggetto a leggi di trasformazione, tutti si trovano all’interno di un percorso che si muove verso la pienezza di vita, anche se, per giungere a tale pienezza, tutto e tutti devono attraversare la morte, che è sì, disfacimento, ma che fa parte del movimento di trasformazione.
Vegliare per prendersi diligentemente cura di sé, degli altri, di ogni realtà è uno dei compiti principali dell’esistenza, nonostante, spesso, comporti dei rischi, come quello della delusione. Chi, infatti, assume seriamente la propria vita e cerca tutti i modi e situazioni di educarsi e di educare, può trovarsi di fronte alle proprie e altrui resistenze al cambiamento e può sentirsi smarrito nei confronti delle proprie difficoltà o alle scelte degli altri, che ostacolano la crescita nella libertà interiore desiderata.
Nel bilancio preventivo del “vegliare”, interpretato come attenzione per la cura della propria e altrui interiorità, occorre disporsi, dunque, anche all’eventualità della delusione. Nei confronti di se stessi la delusione può derivare dal fallito raggiungimento di ciò a cui si aspira, fatto che può essere connesso ad una condizione di disarmonia interiore. Nei confronti degli altri, di coloro verso i quali si ha responsabilità educativa o formativa, può succedere, invece, di sperimentare un sentimento di delusione per la mancata loro accettazione di muoversi verso un vero miglioramento.
È difficile, infatti, comprendere che si possa scegliere la non conoscenza e la non consapevolezza di se stessi solo perché ciò comporta la fatica di affrontare e di elaborare i propri problemi, quando si sa che, elaborandoli, si ricava armonia e benessere interiore. La realtà dei fatti, pero, ci dice che le persone possono compiere questa scelta, una scelta di evitamento, di irresponsabilità che può determinare, peraltro, anche sentimenti di astio verso il mondo intero, perché si prende la posizione della vittima. Questo modo di agire può rappresentare realmente una delusione per coloro che, diversamente, sono impegnati in un percorso di conoscenza. Di fronte a questa realtà, continuare a mantenere la fiducia verso quel “bene” che è nel cuore di tutti è di grande importanza per la propria salute mentale e per il superamento delle proprie barriere interiori legate all’incoerenza. Anche questa è vigilanza su di sé e sugli altri. Del resto, il primo ad aver avuto fiducia in noi è stato Dio stesso, affidandoci la vita, mettendola nelle nostre mani; noi, su questa fiducia, che rappresenta anche una grande possibilità interiore, siamo chiamati a costruire opportunità per conoscere sempre più noi stessi e il significato della libertà, utilizzandolo al meglio ed unicamente per il bene. Verrebbe da pensare che il Creatore non possa che essere rimasto molto deluso dal capolavoro della sua creazione. Egli, però, sa anche di aver posto in ogni persona un piccolo germe della sua bontà e sa che prima o poi qualcosa fiorirà.
Per questo continua ad avere fiducia, rimane sveglio giorno e notte in attesa che ogni suo figlio, anche se ridotto male, alla fine bussi alla sua porta, che troverà sempre aperta. Egli si prende cura di ognuno e darà a ciascuno secondo il suo bisogno.
Alla base della vigilanza, intesa come cura di sé e degli altri, esiste dunque la fiducia che poggia su una realtà concreta, sulle possibilità, cioè, che ciascuno porta nel cuore e che mette in atto nelle azioni positive ed oneste, costruttrici di coerenza e di consapevolezza.