La preghiera: uno “sguardo” dentro ogni cosa

Pregare significa avere uno “sguardo” dentro ogni cosa.
Una definizione, questa, che può sembrare strana, a prima vista ma reale, per chi decide di approfondire uno dei bisogno più intensi del cuore umano e quindi del proprio cuore, per chi intende riflettere sulla differenza che passa tra il “pregare” e il “recitare le preghiere” e intende impegnarsi nella costruzione della propria preghiera, quella preghiera che esprime il proprio essere, mentre, contemporaneamente, costruisce il proprio “sentire”, un proprio agire dentro la realtà.
Chi si accontenta di “dire le preghiere” e non sa andare oltre, non si rende consapevole della sua stessa profondità e dei bisogni spirituali che gli appartengono e non può quindi, gustare la propria vita, la propria interiorità, attraverso la molteplicità dei significati possibili nella progressione evolutiva della conoscenza.
Ma, che cosa significa che la preghiera è come uno “sguardo” speciale dentro ogni cosa?
Le cose, gli avvenimenti, i fatti, tutto ciò che avviene o capita ogni giorno, le situazioni piacevoli o amare, le persone, la propria stessa vita sono estremamente complesse, possiedono più dimensioni e tanti livelli. Ci si può abituare ad osservare, giudicare, valorizzare cose, avvenimenti, fatti, situazioni, persone solo da un unico punto di vista, ponendosi soltanto ad un livello, quello superficiale, e valutare ogni realtà in base a ciò che appare a “prima vista”. Ma è possibile fare diversamente.
Infatti, se ogni realtà possiede più livelli, essendo sempre estremamente complessa, allora vuol dire che si può porsi in atteggiamento di apertura verso la conoscenza, per approfondire il più possibile tutte le dimensioni che ogni realtà possiede e non accontentarsi di vedere soltanto una dimensione o guardare la realtà da un unico punto di vista, quello abitudinale.
Pensare, invece, che è possibile andare oltre, andare al di là di ogni superficie, è possibile cogliere e conoscere lo spessore, il cuore di ogni realtà, è possibile anche cogliere e conoscere lo spessore, il cuore della propria realtà, ossia di se stessi. In tal modo si diventa più realisti, perché la realtà di ogni “cosa” non è costituita soltanto dalla superficie, ma possiede uno spessore e, più ci si impegna a penetrare tale spessore, più si percepisce la complessità della realtà che si sta considerando.
Così facendo si ha una visione più completa di ogni realtà, si è maggiormente inseriti nella storia umana, in generale, e nella propria storia, in tutti gli aspetti della propria realtà. E chi ha una visione più complessa di sé, dell’altro, della realtà diventa più capace di rimanere aderente alla verità, in quanto, proprio perché si ha la consapevolezza della complessità che ogni realtà ha in sé, non ci si ritiene detentori della verità, non si ritengono assolute le proprie affermazioni, i propri pensieri, al contrario si lascia spazio ad altre possibilità di conoscenza, a continue altre possibilità.   
Chi ha un “occhio in più” e sa guardare oltre la superficie di ogni realtà, compresa la realtà di sé, è come facesse esperienza, dentro il limite umano, di una specie di dimensione di infinito che pure esiste in ogni aspetto della realtà, in ogni frammento di vita anche in quello che si ritiene banale. Avere un “occhio” dentro la realtà significa scoprire e conoscere orizzonti ampi e profondi, racchiusi in spazi anche ristretti e in realtà limitate; è vedere e incontrare l’infinito dentro il finito, è mettersi in relazione con l’azione di Dio, con l’Infinito, che ha impresso nel finito qualcosa della sua stessa dimensione. Egli, infatti, sa come è fatto il cuore di ogni realtà e il cuore di ciascuno. Il suo campo di “lavoro” e di presenza non si ferma alle apparenze ma entra nel cuore di ogni realtà, nella realtà dell’uomo, dove nascono e si costruiscono i sentimenti reali e forse mai detti o forse detti e presentati diversamente da come sono, sentimenti che poi si trasformano in azioni più o meno libere o più o meno condizionate.
Cogliendo in tal modo, anche da parte nostra, ogni realtà, compresa la realtà personale significa, allora, mettersi in relazione con l’Infinito pur con la consapevolezza di appartenere alla realtà del finito. Ciò è possibile. E la preghiera è una relazione, una relazione personale, un modo di essere, un atteggiamento interiore, una disposizione profonda, accurata e intensa ad “esserci”, una presenza sempre presente in ciò che appartiene alla nostra realtà umana, perché è pure in questa realtà umana che Dio si è impegnato ad essere sempre presente. Avere uno “sguardo” forte e appassionato dentro la realtà è, dunque, preghiera, perché è pensare e agire nella direzione del pensiero e dell’azione di Dio, è incontrarlo là dove noi “siamo” maggiormente noi stessi. È incontrarlo là dove Lui sa che dobbiamo andare, sulla strada che ognuno di noi è chiamato a percorrere per mettere a frutto le capacità di cui, proprio Lui, ci ha dotato, la strada della sperimentazione di noi stessi, nella ricerca dei nostri limiti e nel tentativo di superarli. È incontrarlo là dove Lui ci attende, sul percorso faticoso di costruzione della realtà quotidiana, realtà che ci chiama al rispetto profondo per ciò che è stato messo nelle nostre mani: la vita.
E la vita esige serietà, impegno e rispetto.
La vita biologica, che ci è donata, necessita di essere costruita, passo dopo passo, nel suo aspetto interiore, quell’aspetto che dovrebbe andare a guidare proprio quel “corpo” che lo contiene.
Pregare è, quindi, cercare Lui dentro le nostre azioni, dentro i nostri pensieri, dentro le nostre emozioni, i nostri sentimenti più intimi. È cercare di imprimere ai nostri atti il coraggio della coerenza, il coraggio di scoprire chi alberga veramente dentro di noi, di riconoscerlo e, con altrettanto coraggio, modificare, cambiare ciò che siamo in grado di riconoscere come non coerente. Lo sforzo di cambiare, per adottare concretamente il pensiero e l’azione di Dio, è la possibilità di incontrare Lui incontrando noi stessi e questo può essere chiamato preghiera. Incontrare la propria realtà più intima, più nascosta, il proprio cuore e il cuore di ogni realtà ed essere consapevoli della presenza che tale livello profondo richiede, significa quindi incontrare la presenza infinita e sempre presente di Dio. Una relazione come questa è preghiera ed è possibile trasformarla in preghiera costante, che costruisce sempre più coerenza e consapevolezza di vita. Una relazione con se stessi e con Dio, come questa, consente di elevare la qualità anche delle preghiere recitate, impedendo, alla recitazione stessa, lo scivolamento nella ripetizione meccanica e favorendo, invece, il definirsi di una ritualità forte, viva e partecipata che dà spessore e significato personale allo scorrere delle parole pronunciate.
 

Istituto Campostrini

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