Chi è diverso: io o l’altro?

“Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo
che non è mai esistito,
qualcosa di primo e unico.
Ciascuno è tenuto a sviluppare e dar corpo
proprio a questa unicità ed irripetibilità.
È la diversità la grande risorsa del genere umano”.
(“Il cammino dell’uomo” di Martin Buber)

 

Queste affermazioni di Martin Buber ci hanno dato spunto per riflettere circa un argomento impegnativo e attuale quale l’accoglienza del diverso. Se può essere corretto affermare che in ogni uomo esistono tratti comuni, che appartengono all’intera umanità, non si può negare che ogni essere umano è pure un universo totalmente originale, unico nel suo genere ed irrepetibile. Tra le diversità presenti nelle persone, ce ne sono alcune che balzano agli occhi con immediatezza e dalle quali è abbastanza facile, qualora sperimentassimo difficoltà o avversione, prendere le dovute distanze. Se, invece, consideriamo le differenze un elemento positivo e vogliamo entrare in relazione con esse riconoscendole, riusciamo a trovare modalità che ci permettono una reciproca conoscenza ed una convivenza rispettosa. Quando, invece, le diversità ci sorprendono, perché si rivelano improvvisamente in persone con le quali per tanto tempo abbiamo condiviso pensieri, sentimenti, gusti, ideali, paure e debolezze, si rimane sconcertati, si ha la sensazione di essere stati ingannati nei sentimenti, ci si sente, per così dire, traditi in quella conoscenza che consideravamo abbastanza completa e definitiva. Si ha la sensazione che il mondo ci crolli addosso. A questo punto, la questione, riguardante le diversità, si fa più delicata e impegnativa. Nascono spontanei degli interrogativi.

Come è possibile stare per tanto tempo con una persona e un giorno accorgersi che non la conosciamo ancora? Come mai è così diversa da come la pensavamo? Che tipo di relazione abbiamo stabilito, se alla fine per noi è come un’estranea? Che fare? Accettare la fatica di cambiare l’immagine che ci siamo fatte di lei? Oppure rifiutare l’idea di essere in qualche modo coinvolte ed attribuire a lei la responsabilità di non essersi rivelata nella sua totalità? Arrendersi o accettare di andare a fondo nella conoscenza e nell’accettazione reciproca? Se vogliamo capire il nostro disagio e ci impegniamo ad andare oltre la semplice intuizione iniziale, potremmo scoprire che lo sconvolgimento sperimentato non viene tanto dalla diversità, che abbiamo scoperto nell’altro, ma dalla parte sconosciuta di noi, che l’altro ha fatto emergere con la sua diversità. Quel qualcosa di noi, che, proprio perché inconsapevole e sconosciuto, ci fa star male. Questa scoperta, se da una parte può essere sconvolgente e dolorosa, dall’altra può diventare un’occasione per rivisitare e modificare comprensioni che consideravamo intoccabili e che, alla fine, possono donare un certo benessere interiore. Accogliere la novità, che l’altro ci rivela, rende possibile l’accoglienza anche della sua diversità. Ciò comporta impegnarsi a compiere un percorso di conoscenza approfondite e mirato, che permette di prendere consapevolezza di quegli aspetti, che, pur appartenendoci, non conoscevamo ancora. Tale percorso permette, inoltre, di costruire un atteggiamento positivo, che favorirà l’emergere dell’originalità personale e di riconoscere all’altro lo spazio necessario per manifestare la propria. Accogliere la diversità è impegnativo e faticoso, ma è pure fonte di grande arricchimento, in quanto fa evolvere nella conoscenza di noi e degli altri. Accettare il diverso rende possibile un apprendimento reciproco, frutto di azioni concrete, di vissuti continuamente rivisitati e di comunicazioni aperte ad accogliere la novità che si manifesta.

La diversità, considerata spesso una minaccia, quando è riconosciuta e accolta diventa una inesauribile fonte di informazione e una preziosa risorsa.

 

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