“Andate”! è un ordine, un invito, una missione, un compito che tutti riceviamo fin dall’inizio della nostra esistenza.
Dal momento della nostra nascita si aprono davanti a noi varie e molteplici dimensioni di realtà, nuovi e diversi universi da conoscere, da sperimentare, da percepire. Ma soprattutto si apre davanti ai nostri occhi il “nostro mondo, noi stessi, l’insieme, cioè, dei mille elementi racchiusi in noi e che costituiscono: le variegate e infinite possibilità, che danno forma a ciò che siamo anche se non le conosciamo pienamente , la complessità e la profondità del nostro mondo emotivo, i sentimenti, le azioni, le relazioni in cui ci troviamo immersi e che siamo chiamati ad affrontare, le difficoltà di capire proprio il nostro cuore, la nostra interiorità, i condizionamenti costruiti nelle relazioni primarie, nei nostri contesti di provenienza relazionale. Vincoli sui quali ci sentiamo costruiti e dai quali non sappiamo come liberarci.
Ed ecco l’invito: “Andate” … è un invito che implicitamente ci proviene dalla vita ed esplicitamente ci proviene dalla Parola di Vita, per chi crede, da Dio stesso.
“Andate … non temete: IO SONO CON VOI”.
Ma, dove e come andare?
Andare vuol dire avere un preciso obiettivo, una meta, dei percorsi chiari, orientati, forse faticosi, ma carichi di significati gratificanti che mettono in risalto e che sottolineano la validità dello sforzo. Significati che legittimano la difficoltà di affrontare un itinerario di conoscenza, di consapevolezza, di libertà e autonomia interiore per portare a compimento noi stessi, per adempiere al mandato: andate… .
Già, perché noi siamo nati, ma non siamo ancora venuti totalmente alla luce. Infatti, lo scopo della nostra vita, la nostra missione prima, il nostro compito principale e primario è proprio quello di “esserci”, essere presenti, cioè, essere consapevoli, in ogni nostra azione, in ogni frammento della nostra storia personale, per crescere nella conoscenza di tutti gli elementi che ci costituiscono, anche e soprattutto di quelli che possono ostacolare, condizionare il nostro procedere verso la libertà interiore, quella libertà che è frutto di faticosa conoscenza e della conseguente consapevolezza di ciò che siamo.
“Esserci”, vuol dire essere una presenza sempre in posizione “on”, sempre attivata, sempre monitorata sul “motore” interiore che ha in sé il compito, da Dio ricevuto, di investire e moltiplicare i “talenti” ricevuti, ossia, gli elementi, le possibilità, le potenzialità depositate, dall’inizio della vita, nel profondo dell’anima nostra.
Siamo nati, ma non siamo ancora venuti totalmente alla luce. Tuttavia, non siamo stati sbattuti nel mondo senza un senso, senza un perché, senza uno scopo, un obiettivo, una missione da compiere, un compito da portare a termine nel miglior dei modi possibili.
Abbiamo consapevolezza che la missione di venire alla luce, di progredire, di evolverci, di diventare più “persone umane”, con tutte le caratteristiche positive che racchiude in sé l’essere più umani, non coinciderà con il termine della nostra vita terrena, perché
la nostra caratteristica essenziale è di divenire, il divenire continuamente e il più consapevolmente possibile, noi stessi.
Portare a compimento la nostra individualità, l’immagine di Dio, incisa nei nostri cuori, è la missione di oggi, di domani; è la missione nel tempo e nell’eternità.
Solo vivendo così possiamo pensare che saremo utili anche agli altri, ossia, che la nostra missione potrà allargarsi a coloro che, ovunque si trovino, implicitamente o esplicitamente desiderano, come noi, completare il sogno di realizzazione della propria vita. In questo senso la “missione” assume una caratteristica di pariteticità, di scambio, di arricchimento interiore reciproco, di interazioni positive e costruttive; sì, perché la missione è legata ad ogni luogo e ad ogni azione di tutte le persone che intendono costruire vicinanza a se stesse a all’altro, ad ogni altro, dentro l’orizzonte di un Dio che conosce e che ama il cuore di ogni uomo.
Se la missione ha il significato precipuo di conoscere e cambiare se stessi, per essere sempre più a somiglianza di quel Dio, che abbiamo scelto e che ogni giorno riscegliamo, allora la missione, come azione di conoscenza che dà senso profondo al nostro esistere, assumerà anche la doppia valenza della conoscenza dell’altro, della condivisione con l’altro, dell’azione verso e per l’altro. Senza la conoscenza di se stessi e privati della disposizione interiore all’analisi di sé a favore della costruzione di consapevolezza e, quindi, di possibile coerenza, la missione risulta monca, incompleta ed irrealizzabile. È molto difficile, forse impossibile, conoscere l’altro, quando non si è disponibili a conoscere se stessi. È impossibile la dichiarazione di comprensione dei problemi dell’altro, quando non si è disposti e decisi a comprendere se stessi. Il coraggio e la fatica di conoscere, comprendere e accettare l’altro è direttamente proporzionale al coraggio di affrontare la conoscenza, la comprensione e l’accettazione di se stessi.
La missione, quindi, può richiamarci l’immagine della fatica, ma anche l’orgoglio, della gioia e soddisfazione di dissodare il proprio campo, per poter seminare e ottenere nuovi frutti e nuova vita per sé e per gli altri.